
“Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi…”
Ah no, aspetta.
Quella era un’altra storia. Qui si parla di San Gaudenzio.
Ricomincio.
Quel ramo del Navile, che volge a est verso le risaie di fianco al cimitero nuovo, tra due filari non interrotti di pioppi e una rotonda mai finita (perché “mancano i fondi regionali”), tutto a curve e sostegni leonardeschi e a pozzanghere con identità propria, vien quasi a un tratto a farsi stretto, torbido e borbottante, tra un bar con dehors abusivo da un lato e una chiesetta gotica assolutamente fuori contesto architettonico ma molto instagrammata.
Là, dove il ponticello in mattoni (gemello povero del Ponte della Bionda, ma con più dignità), unisce le due rive del fosso scolmatore, pare che anche l’acqua rallenti il passo e si domandi, con tono stanco:
“Ma dove sto andando?”
È in quel punto preciso, tra le zanzare che sembrano elicotteri e il ronzìo della centralina Enel, che la Bassa si riprende il suo spazio.
La nebbia cala come un sipario di velluto grigio e appiccicoso, l’aria profuma di ragù del sabato sera e di letame poetico (firmato Ezio di Cà Nova, allevatore con visioni), e proprio lì, quasi nascosto in piano aperto, si apre San Gaudenzio: paese dove tutto ha un ritmo più lento, più largo e sicuramente più comico.
San Gaudenzio è il tipico paese della Bassa Bolognese:
una piazza con la fontana senz’acqua dal 2004,
una Chiesa con campanile leggermente storto (“è l’umidità”),
un Municipio dove i faldoni prendono il sole in balcone,
una trattoria con dehor in perenne ampliamento (“tanto lo condonano”),
e almeno tre bar gestiti da cinesi, che fanno cappuccini perfetti e spaghetti discutibili, ma con molto cuore.
Gli abitanti di San Gaudenzio, devoti al Santo omonimo (di cui si ignora biografia, miracoli e iconografia, ma che viene invocato ogni volta che salta la luce), sono gente semplice, affabile e terribilmente festaiola.
Sarà la concorrenza con San Giorgio di Piano — che tra sagre, rievocazioni medievali, bande musicali e zumba in piazza ha ormai raggiunto lo status di Ibiza della pianura — ma a San Gaudenzio la gente si inventa qualsiasi pretesto per organizzare eventi.
Festa del primo caldo. Festa del primo freddo. Festa del cambio gomme.
Persino la “Sagra della Bolla nella Marmitta”, che ha avuto un certo successo prima che l’ARPAE intervenisse.
Qui si balla, si mangia, si beve, si ride e si canta fino a che:
- quelli del turno di notte iniziano a telefonare alla Municipale,
- i bambini si addormentano sulle sedie di plastica della Pro Loco,
- e qualcuno propone di fare il trenino. Sempre.
La vita a San Gaudenzio è bella, finché l’anima festaiola non esagera.
Come nel caso del DASPO al Bologna FC San Gaudenzio Fan Club, sospeso dopo tre serate di cori, falò non autorizzati e l’occupazione simbolica (ma rumorosa) del cortile della scuola media per “protestare contro la Juve e contro i compiti del lunedì”.
Ma d’altra parte, cos’è un paese della Bassa senza un po’ di confusione?
Senza i balli lenti, i piatti forti e le idee strampalate?
San Gaudenzio è un luogo che non esiste sulle mappe, ma vive in quel punto esatto dove la nebbia incontra il tortellino, dove le feste finiscono sempre un’ora dopo il previsto, e dove — se ti siedi abbastanza a lungo in piazza — prima o poi succede qualcosa.
(Testo di Francesca De Frenza)
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